Sono da poco passate le 2 quando a Casa Giorgia arriva Florente. Di origine kosovara, ha da poco compiuto i 18 anni e oggi ha iniziato gli esami di terza media. Come è andata? Gli chiede due volte Fabiana, l’operatrice sociale. Il primo “bene”, in effetti, non risulta pronunciato con sufficiente convinzione. Casa Giorgia si trova ad Acquanegra: è una comunità di seconda accoglienza per minori non accompagnati. La capienza è di 20 posti: sono divisi tra un gruppo di albanesi-kosovari e un altro di egiziani. Gli operatori sono 3: Marinela, Fabiana e Filippo (in vacanza in questa settimana).
Marinela è responsabile dell’apprendimento, Fabiana dell’educazione. Ma è una divisione “grosso modo” perché si vivono tante situazioni differenti nel corso della giornata. Marinela racconta che è una soddisfazione vedere i progressi nella lingua italiana e le serietà con cui affrontano la scuola. Spiega: «Arrivano a 15-16 anni su indicazione dei Centri di prima accoglienza e restano qua fino ai 18. poi devono uscire, salvo una breve proroga che è concessa se c’è un’esigenza scolastica. Si trovano a dover affrontare non solo la barriera della lingua, ma anche un modello culturale molto diverso dal loro. E il fatto di poter contattare di frequente i genitori, non sempre è di aiuto. Perché, a loro, sembra di poter ritornare nel mondo di prima. Ci vuole del tempo perché imparino a dire: grazie, prego, per favore. In partenza è tutto un “voglio”. Quando ci aggiungo un “per…” mi rispondono “per me”.  Nei primi tempi faticano molto ad accettare le osservazioni di noi operatrici. Il loro modello è del tutto patriarcale: sono loro che si sentono caricati della responsabilità dell’uomo di famiglia. Sono loro che proteggeranno la sorella, lavoreranno anche per lei, se necessario. Ma il ruolo delle donne, nella loro visione culturale, è sempre subordinato»...

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Paolo Carini

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