Il 1995 fu un’annata eccezionale. «In una notte ne raccogliemmo due chili e quattro». S’illuminano gli occhi di Mauro Scaramuzza quando parla di tartufo bianco. Lui che, a caccia di tartufi ci va da anni, ha raccolto un’esperienza tale da potersi permttere affermazioni che ai profani del Tuber Magnatum Pico potrebbero sembrare eresie: «Il tartufo bianco casalasco - dice - non ha nulla da invidiare a quello di Alba. E’ uguale. L’unica differenza che mi è sembrato di percepire sta nel peso specifico del fungo, qui impreniato dell’umido tipico della Bassa, ma come profumo sono identici». Scaramuzza ne è certo. Da grande estimatore della varietà più pregiata di tartufo ha già fatto tutti i raffronti del caso. Senza alcun interesse economico a sostenere la propria causa: «Io e il mio compagno di raccolta Massimo Fazzi andiamo a caccia a puro scopo personale o familiare, che dir si voglia. Le cose stanno semplicemente così: se ne troviamo poco ce lo spartiamo io e lui, se ne ce n’è in abbondanza si aggiungono dei posti a tavola. E si organizza una cena a base di tarufo: uova al tegamino, tagliatelle, filetto. Tutto condito con scaglie del pregiato “tuber”».
Ma a Casalmaggiore il tartufo bianco dove si trova? 
Scaramuzza ci svela i luoghi «noti persino alla guida Michelin» tenendo per sè, probabilmente, quelli meno conosciuti: se ne segnalano lungo il viale che porta alla stazione, tra via Romani e viale Italia, nella cosiddetta zona di San Sebastiano; ma anche in frazione come, per esempio, nei dintorni del cimitero di Casalbellotto.
Così chi si aspettava che la ricerca avvenisse in golena rimane di stucco. I posti migliori sono vicini al centro. La ricerca, insomma, è perlopiù urbana.
«In effetti - dice Scaramuzza - l’attuale conduzione dei nostri terreni golenali rende assai difficile l’attecchimento del fungo, che di solito cresce nei pressi di pioppi, tigli, salici e querce. In golena si trovano soprattutto pioppi. Ma i terreni su cui vengono coltivati non sono più fermi come una volta. Ci si è convinti che, arandoli spesso, la piante cresceranno più rapidamente. In questo modo, però, nelle loro vicinanze, si rende impossibile la crescita di tartufi. Ecco perchè la ricerca è diventata molto più difficile e “urbana”. Sino a pochi anni fa quando si usciva si aveva la certezza di tornare con il bottino, adesso le uscite a vuoto sono all’ordine del giorno». O meglio, all’ordine della notte. Visto che Scaramuzza va a tartufi con il buio.
Così come è cambiata la ricerca, altrettanto è mutata la tipologia di cane. «Un tempo - racconta - servivano cani veloci, adesso ci si fa accompagnare da cani più lenti. Non si va più per boschi. L’ideale è avere a fianco un Lagotto romagnolo. Si inizia ad addestrarli alla ricerca a due mesi, i primi frutti li raccolgono intorno ai tre anni».
Nella ricerca, il rapporto cane-padrone è un altro tassello determinante. 
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